Nuova legge sulla cittadinanza italiana iure sanguinis: discendenti di avo italiano chiedono al Tribunale di Catanzaro di sollevare eccezione di incostituzionalità
- stefanonitoglia
- 10 giu
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Con ricorso per riconoscimento della cittadinanza italiana iure sanguinis per via materna, depositato il 4 giugno 2025 al Tribunale di Catanzaro, gli avvocati Stefano Nitoglia e Mariam de Cassia Darghan, del Foro di Roma, hanno chiesto al giudice di sollevare eccezione di incostituzionalità nei confronti del decreto-legge 36/2025, convertito in legge 74/2025, che ha modificato la legge sulla cittadinanza n. 91 del 5.02.1992. La nuova normativa ha stabilito che possono rivendicare il diritto alla cittadinanza soltanto i discendenti dell’avo fino alla seconda generazione e purché non siano nati all’estero e non siano in possesso di altra cittadinanza; e ciò contrariamente alla precedente normativa, che non poneva alcun limite per il riconoscimento della cittadinanza italiana di discendenti di avi italiani emigrati all'estero.
Gli avvocati dei ricorrenti sostengono che la nuova normativa viola diverse norme costituzionali, tra le quali: art. 2 (diritti inviolabili dell'uomo); art. 3 (pari dignità sociale e uguaglianza dei cittadini davanti alla legge); art. 10 (conformità della legge italiana alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute); art. 22 (nessuno può essere privato, per motivi politici, della cittadinanza); art. 77 c. 2 (mancanza dei requisiti per fare ricorso alla decretazione d’urgenza); art. 111 (princìpi del giusto processo con rispetto del contraddittorio tra le parti in condizioni di parità); art. 117 (rispetto dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali).
Diverse le argomentazioni giuridiche a sostegno della richiesta formulata al giudice. La norma impugnata, infatti: a) non tiene conto che secondo la recente giurisprudenza della Corte di Cassazione, espressa nelle note sentenze gemelle a sezioni unite n. 25317/2022 e n. 25318/2022, sulla questione della cosiddetta “grande naturalizzazione brasiliana”, la cittadinanza italiana per fatto di nascita si acquista a titolo originario iure sanguinis e lo status di cittadino, una volta acquisito, si rivela permanente, imprescrittibile e rivendicabile in qualsiasi momento e che il diritto si può perdere soltanto per rinuncia volontaria ed esplicita; b) primato della normativa europea rispetto al diritto interno italiano. A tale proposito la Corte di Giustizia dell’Unione Europea, con sentenza c-221/17, Tjebbes e altri, ha stabilito che “la perdita automatica della cittadinanza di uno Stato membro è compatibile con il diritto UE solo se viene rispettato il principio di proporzionalità, garantendo agli interessati un esame individualizzato delle conseguenze”. Principio ribadito nelle decisioni C-689/21 (X) e C-684/22 (Stadt Duisburg), nelle quali il Tribunale ha precisato: “Non sono conformi al principio di effettività le normative o le pratiche nazionali che revochino automaticamente la cittadinanza europea alla scadenza di un termine, senza offrire agli interessati la possibilità di chiedere una verifica dell’applicazione del principio di proporzionalità”; c) motivazione politica e discriminatoria della nuova normativa. In un contesto geopolitico segnato da crescenti tensioni sulle migrazioni e dai dibattiti sui modelli di appartenenza civica (ius soli, ius scholae), la restrizione del diritto iure sanguinis assume un significato politico e culturale profondo; d) mancanza dei requisiti di necessità e urgenza per l'adozione del decreto-legge 36/2025. I motivi di necessità ed urgenza indicati nel decreto-legge 28 marzo 2025, n. 36 a giustificazione del ricorso alla decretazione ex art 77, c. 2, Carta costituzionale, sono del tutto inconferenti. Tra gli altri, il terzo motivo (“straordinaria necessità e urgenza di introdurre in misure per evitare, nelle more dell'approvazione di una riforma organica delle disposizioni in materia di cittadinanza, un'eccezionale e incontrollato a flusso di domande di riconoscimento della cittadinanza, tale da impedire l'ordinata funzionalità degli uffici consolari all'estero, dei comuni e degli uffici giudiziari”), è strumentale e infondato in quanto è a tutti noto che, per colpa esclusiva della pubblica amministrazione, gli uffici consolari all'estero, i comuni e gli uffici giudiziari, non funzionano già da tempo, per cui cade ogni motivo invocato di straordinaria necessità ed urgenza di evitare una situazione che già sussiste; e) violazione dei principi del giusto processo stabiliti dall’art. 111 della Costituzione. L'articolo 1, comma 2, del decreto-legge 28 marzo 2025, n. 36, convertito senza modificazioni dalla legge 23 maggio 2025, n. 74, nello stabilire che “Nelle controversie in materia di accertamento della cittadinanza italiana chi chiede l'accertamento è tenuto ad allegare e provare l'insussistenza delle cause di mancato acquisto o di perdita della cittadinanza previste dalla legge”, viola i principi del giusto processo, stabiliti dall'articolo 111 della Costituzione, imponendo in maniera del tutto arbitraria ed irrazionale ai ricorrenti una prova che assume tutti i caratteri della cosiddetta probatio diabolica, cioè di una prova praticamente impossibile da fornire. L'articolo 111 della Costituzione, si collega alla probatio diabolica in quanto essa è strettamente legata alla garanzia del diritto di difesa e alla parità tra le parti. In particolare, il contraddittorio, previsto dall'articolo 111 della Costituzione, implica che le prove vengano formate in un contesto di dialogo e confronto tra le parti. La norma impugnata impone ai ricorrenti una prova impossibile da raggiungere e da fornire. La irrazionalità ed arbitrarietà di tale norma, inoltre, che rende praticamente impossibile ogni rivendicazione del fondamentale diritto di cittadinanza anche per coloro che si trovano nelle condizioni stabilite dalla norma stessa, vale a dire che rientrano nel novero della seconda generazione, dimostra ancor di più l’evidente motivazione politica e discriminatoria della nuova normativa.
In conclusione, e a parte le considerazioni giuridiche sopra svolte, non si comprende il motivo della modifica legislativa, che pone fine ad un sistema in vigore da sempre e che impedisce il riconoscimento della cittadinanza italiana di persone che discendono da italiani immigrati in terra straniera moltissimi anni orsono e che, nelle varie generazioni che si sono succedute, hanno sempre mantenuto un affettuoso contatto con la patria di origine. Uno Stato dovrebbe essere orgoglioso di una tale cosa, perché gli dà lustro, invece di umiliare le attese di coloro che si sentono e sono cittadini italiani.
Molte sono le vestigia italiane all’estero. Per parlare del solo Brasile, ricordo l’Edificio Italia, il più alto grattacielo di San Paolo, costruito tra il 1956 e il 1965 nel centro della megalopoli brasiliana su iniziativa della comunità italiana locale e che ospita il Circolo italiano e il Terrazzo Italia.
Come si legge nella pubblicazione “Momento Italia-Brasile 2011-2012” – del Ministero degli Affari Esteri, consultabile sul sito www.esteri.it>mae>pubblicazioni>allegati>20120913 mib book: <<In Brasile è presente la comunità di origine italiana numericamente più grande del mondo: 25/30 milioni di discendenti. La rete istituzionale dispone di quasi 140 terminali distribuiti in 25 dei 27 Stati, a cui si aggiungono 461 Associazioni, circa 80 feste popolari italo-brasiliane, 716 fabbriche e filiali produttive di imprese italiane, 279 docenti di italiano. Nessun altro Paese può disporre in Brasile di una presenza così importante e differenziata.>>.
Infine, va detto delle grandi opportunità, economiche e culturali, che l'ampliamento della comunità italiana all'estero potrebbe offrire alla Repubblica italiana, se intelligentemente valorizzate. Perché mortificare questa nostra comunità e queste opportunità?
A questo punto non resta che attendere le decisioni del giudice di Catanzaro, ovvero, se accoglierà le richieste dei ricorrenti e invierà gli atti alla Consulta oppure rigetterà il ricorso sic et simpliciter. Nella seconda deprecabile eventualità, ciò non impedirà, comunque, di riproporre le stesse questioni di incostituzionalità davanti a Tribunali diversi. Insomma, è iniziata una dura e lunga battaglia.
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