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Contratti di locazione ad uso alberghiero: canone a scaletta e emergenza Covid

Il canone cosiddetto a scaletta è perfettamente legittimo mentre, più in generale e a prescindere dalla detta questione, la disciplina emergenziale epidemiologica non giustifica la sospensione o la riduzione del canone. Lo ha stabilito una recentissima sentenza (n. 9594/2023) del Tribunale di Roma, sezione VI civile, giudice Maria Flora Febbraro, pubblicata il 25/08/2023.

In una causa di sfratto per morosità, riguardante una locazione alberghiera, il conduttore, resistendo alla intimazione di sfratto, aveva eccepito la nullità del contratto a scaletta e invocato in via gradata la riduzione del canone nel periodo emergenziale Covid 19. Nella fase di merito, successiva alla fase sommaria, il giudice, accogliendo le domande del locatore, ha dichiarato la risoluzione del contratto di locazione per grave inadempimento del conduttore, condannando quest’ultimo alle spese di lite.

Si riportano per esteso e senza commenti alcune parti della motivazione della sentenza.

Canone a scaletta

Sulla prima questione (canone a scaletta) la sentenza così statuisce: “Sotto altro profilo si aderisce ai dettami della giurisprudenza di legittimità secondo cui per gli immobili destinati ad uso diverso da quello di abitazione, devono ritenersi legittimi, tanto il patto con il quale le parti, successivamente all’atto della conclusione del contratto, è predeterminato il canone in una misura differenziata e crescente per frazioni successive di tempo nell’arco del rapporto, quanto il patto successivo con il quale le parti provvedono consensualmente, nel corso del rapporto, a stabilire una misura del canone diversa da quella originariamente stabilita. Invero dopo un primo orientamento negativo da parte dei giudici di legittimità diretto a sancire l’illegittimità ex art. 32 della clausola contrattuale avente ad oggetto la preordinata maggiorazione annuale del canone, la più recente giurisprudenza, richiamandosi al generale principio della libera determinazione convenzionale del canone locativo, ha affermato la piena legittimità della pattuizione contrattuale con cui si stabilisca una quantificazione del canone in misura differenziata e crescente nell’arco della durata della locazione (Cass. civ., Sez. III, 06/10/2016, n. 20014, v. di recente, Sez. 3, Sentenza n. 23986 del 26/09/2019). Attualmente si afferma che in base al principio generale della libera determinazione convenzionale del canone locativo per gli immobili destinati ad uso non abitativo, debba ritenersi legittima la clausola con cui viene pattuita l'iniziale predeterminazione del canone in misura differenziata e crescente per frazioni successive di tempo nell'arco del rapporto (a) mediante la previsione del pagamento di rate quantitativamente differenziate e predeterminate per ciascuna frazione di tempo, oppure (b) mediante il frazionamento dell'intera durata del contratto in periodi temporali più brevi a ciascuno dei quali corrisponda un canone passibile di maggiorazione, ovvero (c) correlando l'entità del canone all'incidenza di elementi o di fatti (diversi dalla svalutazione monetaria) predeterminati e influenti, secondo la comune visione delle parti, sull'equilibrio economico del sinallagma”.

Sull'emergenza epidemiologica

“In materia di locazione è da escludere che la grave situazione epidemiologica in essere ed i provvedimenti limitativi della libertà di iniziativa economica emanati per effetto della diffusione del virus "Covid-19" configurino un caso di impossibilità sopravvenuta e ciò sia con riferimento all'obbligazione di pagamento del canone della conduttrice (un'obbligazione di pagamento non può diventare obiettivamente impossibile, attesa la natura di bene fungibile del denaro mentre i mancati pagamenti riferibili, come quelli qui in esame, a condizioni soggettive dell'obbligato, quali la sua incapienza patrimoniale, non possono essere ritenuti rilevanti ai fini dell'impossibilità sopravvenuta), sia con riferimento all'impossibilità per la stessa conduttrice di utilizzare, in tutto o in parte, la prestazione della locatrice, avendo questi messo a completa disposizione, senza limitazioni alcune, il bene locato. Dipendono dal Governo le misure di contrasto alla pandemia che, in concreto, hanno impedito, in via temporanea e non definitiva, la libera esplicazione dell’attività commerciale esercitata nell'immobile locato. Nei contratti sinallagmatici, a prestazioni corrispettive, quale è la locazione, l’art. 1463 del c.c. prevede che nell’ipotesi di impossibilità totale, la parte liberata dalla prestazione dovuta per la sopravvenuta impossibilità della stessa non possa chiedere la controprestazione e debba restituire quella che abbia già ricevuta, secondo le norme relative alla ripetizione dell'indebito. Tale disciplina non è applicabile all’ipotesi de qua agitur poiché a causa del factum principis, che vieta le attività socialmente pericolose, non è l'immobile che diventa inidoneo all’uso ma l'attività che in essa vi si svolge ad essere impedita e ciò ricade nella sfera di rischio dell'imprenditore-conduttore. Non ricorre alcuna materiale o giuridica oggettiva impossibilità ma solo la soggettiva impossibilità del conduttore derivante dall'interruzione dei flussi di cassa. Ad ogni buon conto, volendo riferire l’impossibilità al godimento dell’immobile essa è solo temporanea. Pertanto, chi si duole del mancato godimento dell’immobile locato a causa della osservanza della serrata governativa non può esperire la risoluzione per inadempimento del locatore né agire ex art. 1463 c.c. Tale rimedio è consentito alla sola ipotesi in cui è definitivo il sopravvenuto impossibile godimento ed utilizzo del locale commerciale o dell’immobile (v. Cass. Civ., sez. III, sent. n. 2987 del 26.9.2019: “In caso di risoluzione del contratto di locazione per impossibilità sopravvenuta per causa non imputabile alle parti (nella specie per lo stato di inagibilità dell'immobile conseguente ad evento sismico), non trova applicazione l'art. 1591 c.c. - non essendo configurabile il godimento, anche di mero fatto, dei beni già locati e la possibilità di una utilizzazione diretta o di un reimpiego da parte del locatore dei beni stessi nel periodo tra la cessazione del contratto e la effettiva riconsegna - ma la disciplina generale dettata dall'art. 1463 c.c. Ne consegue che il locatore è tenuto, per far valere il diritto alla restituzione del bene, a formulare apposita domanda - valendo essa a rendere imputabile al conduttore il ritardo - e, per ottenere il risarcimento del danno per ritardata restituzione, a dare prova di aver subito un effettivo pregiudizio dalla mancata disponibilità dell'immobile, non potendo tale pregiudizio ritenersi sussistente in re ipsa”, conf. N. 17844 del 2007). Né può farsi applicazione, nell’ipotesi de qua agitur, della disposizione di cui all’art. 1464 c.c. Invero quando la prestazione di una parte è divenuta solo parzialmente impossibile, l'altra parte ha diritto a una corrispondente riduzione della prestazione da essa dovuta e può, anche, recedere dal contratto qualora non abbia un interesse apprezzabile all'adempimento parziale (ex art. 1464 c.c.). Tale rimedio è invocato da chi stima che, per effetto del factum principis costituito dai decreti emergenziali emanati a decorrere dall'11 marzo 2020, il locatore abbia violato l'obbligo di consegnare e di mantenere il bene in condizione da essere utilizzato secondo l'uso contrattualmente stabilito ai sensi dell'art. 1575 cc. Il lockdown – secondo questa impostazione, avrebbe comportato un'impossibilità sopravvenuta, non imputabile al locatore, destinata a cessare al momento della revoca delle misure di contenimento che darebbe diritto ad una riduzione della prestazione ed alla possibilità di recedere dal contratto se il locatore non avesse più interesse apprezzabile ad un adempimento parziale. A ciò va obiettato che il locatore ha adempiuto alla propria prestazione e l’immobile durante l'emergenza è stato occupato per la sua interezza da cose e beni del conduttore e dunque la limitazione all’esercizio dell’attività non ha in realtà riguardato l'uso dell'immobile in sé. Il mancato godimento dello stesso non è, comunque, definitivo bensì parziale e temporaneo e dipende dalla rischiosità della ripresa dell’attività in essa svolta sicché il conduttore è tenuto ad offrire la propria prestazione rimasta possibile. Inoltre superata l'emergenza l'immobile è nuovamente e totalmente utilizzabile. Se la impossibilità è solo temporanea si dovrebbe applicare soltanto la sospensione del contratto ex art. 1256 c.c. con posticipazione della esecuzione degli obblighi, al termine del lock –down (nella specie, i canoni sono, però, quelli maturati successivamente al maggio 2020). Alla impossibilità temporanea è, invece, applicabile analogicamente l’art. 1464 seconda parte c.c. (con conseguente diritto al recesso) soltanto se a causa della stessa sia venuto meno l’interesse apprezzabile all’adempimento da parte del creditore. Tale situazione specifica non è invocata ma soprattutto la chiusura totale è terminata a far tempo dal 18 maggio 2021”.

“Non può, poi, ritenersi esistente un diritto, fondato sulla disciplina della emergenza epidemiologica e sulla crisi che ne è scaturita, alla sospensione od alla riduzione del canone od ancora alla sua modifica da parte del conduttore che è rimasto nel godimento materiale dell’immobile con la propria famiglia oppure con la propria struttura, con i propri beni strumentali e con le proprie merci. Neanche può ritenersi legittima la unilaterale auto-sospensione od autoriduzione dei pagamenti, essendo tra l’altro, di regola, prevista nei contratti di locazione la clausola del c.d. solve et repete. Nella fattispecie all’art. 8 del contratto è pattuito che il conduttore non possa ritardare o sospendere il pagamento del canone e che il mancato pagamento anche di un solo rateo del canone costituirà in mora il conduttore”.

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