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Alcune considerazioni sulla "grande naturalizzazione brasiliana"

A seguire alcune considerazioni sul tema della “Grande naturalizzazione brasiliana”, svolte nei giudizi nei quali l’Avvocatura di Stato aveva sollevato una tale eccezione, problema affrontato e risolto dalla ordinanza del Tribunale di Roma emanata in data 9 settembre 2020 (v. post del 1 ottobre 2020).

1.a Contestazione e non accettazione della “grande naturalizzazione” da parte del Regno d’Italia e delle maggiori Potenze di allora.

La cosiddetta “grande naturalizzazione brasiliana” non è mai stata accettata ed è stata immediatamente oggetto di numerose contestazioni da parte dell'allora Regno d’Italia e di numerosi altri Stati.

Ne riportiamo di seguito alcune.

a. Con dispaccio del 21 dicembre 1989 T.305, diretto alle Ambasciate italiane a Berlino, Londra, Madrid, Parigi, Vienna e alla Legazione di Lisbona, il Presidente del Consiglio e Ministro degli Esteri di allora, Francesco Crispi, scriveva: <<Recente decreto Governo Brasile impone, salvo opzione entro 6 mesi, cittadinanza brasiliana a stranieri colà residenti il 15 dicembre u.s. e a quelli colà emigranti in avvenire dopo due anni di residenza. Riteniamo lesiva e capziosa questa disposizione, perché riesce e riuscirà impossibile a numerosi coloni lontanissimi dai centri ove siano autorità, oppure esposti ad influenze ed a pressione, di sfuggire alla sanzione del decreto. Il diritto di opzione riuscirà in pratica illusorio e da un violento stato di cose potranno sorgere resistenze, disordini, conflitti internazionali e altri inconvenienti incalcolabili. Indaghi e telegrafi se codesto governo sarebbe disposto insieme con noi azione collettiva o contemporanea per ottenere la revoca o almeno modificazione decreto>> .

b. Con dispaccio Berlino, 26 dicembre, 1889,T.3810, dell'Ambasciatore italiano a Berlino De Launay al Presidente del Consiglio e Ministro degli Esteri, Crispi, il detto Ambasciatore comunicava: <<Principe Bismark, cui fu comunicato contenuto telegramma di V.E. del 21 corrente sera, aderisce in principio al giudizio da lei riportato circa recente decreto del governo del Brasile sui cittadini stranieri che riconosce contrario al diritto delle genti (…)>> .

c. Con dispaccio Pietroburgo, 9 febbraio 1890, T. 485, dell'Ambasciatore italiano a Pietroburgo, Marochetti, al Presidente del Consiglio e Ministro degli Esteri, Crispi, il detto Ambasciatore comunicava: << (…) Ambasciatore d'Austria-Ungheria rappresentò la pretesa Brasile come una “mostruosità piena di inconvenienti dal punto di vista internazionale” (…)>> .

d. Con dispaccio del 15 aprile 1890 agli ambasciatori italiani a Madrid, Maffei, a Pietroburgo, Marochetti e a Vienna, Nigra, e al ministro a Lisbona, Avogadro di Collobiano, il Presidente del Consiglio e Ministro degli esteri A.I. Crispi, scriveva: <<Oggi partono per posta istruzioni al r. Ministro al Brasile, perché presenti memorandum circa naturalizzazione degli stranieri unitamente con ministri di Austria-Ungheria, Portogallo, Spagna, aderenti alla protesta, e con l'appoggio del ministro russo. Informi d'urgenza codesto governo affinché trasmetta istruzioni definitive al proprio rappresentante>> .

Con dispaccio 3 marzo 1890 il presidente del consiglio e ministro degli esteri Crispi scriveva all'ambasciatore italiano a Vienna, Nigra:<<è venuto il barone di Bruck a dirmi che il conte Kainoky accetta il nostro modo di vedere circa le naturalizzazioni imposte dal governo brasiliano. Avendomi l'ambasciatore chiesto quali conclusioni noi intendevamo trarre dalle nostre considerazioni, risposi quella degli Stati uniti, la dichiarazione cioè che il decreto brasiliano non si riteneva da noi obbligatorio per i nostri cittadini>>

e. Crispi, per protesta contro il decreto brasiliano della grande naturalizzazione, il 30 dicembre 1889, due settimane dopo la promulgazione del decreto, emanò una circolare con la quale voleva vietare qualsiasi operazione di immigrazione dall'Italia verso il Brasile .

Il Regno d'Italia fu considerato <<Lo Stato che più manifestò la propria contrarietà alla grande naturalizzazione>> .

f. Nelle istruzioni date nel 1894 dal Ministro degli Esteri italiano Blanc ai Consoli in Brasile per presentare alcuni criteri generali direttivi per dare un avviamento sistematico alla trattazione dei reclami italiani in materia di grande naturalizzazione, il Ministro ricorda al Console che <<Il governo del Re (…) non ha riconosciuto e non riconosce alcuna base giuridica al decreto brasiliano del 15 dicembre 1889, e alla costituzione federale del 4 febbraio 1891, in quanto ammettono la tacita naturalizzazione degli stranieri che non facciano certi atti per conservare la propria nazionalità>> .

g. Nella primavera del 1890, Austria, Spagna e Portogallo aderiscono alla iniziativa di protesta italiana, che si sostanzia in una nota congiunta, inviata al Brasile il 22 maggio 1890. <<Con tale documento i governi europei sostenevano che il decreto sulla grande naturalizzazione era “contraire aux principes généralement acceptés de droit international”, rimproverando al Brasile di aver voluto stabilire una “presomption gratuite”, fondata sul mero silenzio degli immigrati, “c’est-à-dire la présomption de la volonté de ce dernier de choisir la nationalité brésilienne”, e chiedevano un riesame della materia, riservandosi di non riconoscere la validità del decreto>> .

1.b. Contestazione della “grande naturalizzazione” da parte della dottrina

Pure la dottrina si schierò contro la grande naturalizzazione brasiliana.

Sechi O. Con un esplicito riferimento alle naturalizzazione di massa invalsa nella prassi sudamericana, <<Sechi, confortato da un esame delle posizioni espresse in dottrina, nega che la causa di perdita della cittadinanza italiana cui all'articolo 11, n. 2 del codice civile italiano (ai sensi del quale perde la cittadinanza l'italiano che abbia ottenuto per naturalizzazione una cittadinanza straniera) trovi applicazione in caso di naturalizzazione imposta a prescindere da un atto personale, volontario e cosciente: se una legge straniera naturalizzasse di pieno diritto lo straniero solo in dipendenza di certi fatti (…) l’'italiano che avesse compiuto semplicemente questi fatti, non dovrebbe, a nostro modo di vedere, perdere perciò solo la cittadinanza italiana, a meno che la sua condotta personale non dimostrasse che esso volontariamente e scientemente avesse accettato il benefizio di quella naturalità, poiché solo in tal caso potrebbe dirsi davvero egli ottenuta la cittadinanza stessa. (…) L'autore conclude che, finché sia integrata la causa di rinuncia tacita alla cittadinanza italiana di cui all'articolo 11, n. 2, “non deve trattarsi cittadinanza accordata spontaneamente dallo Stato estero, ma richiesta, od, almeno acquisita mediante atti volontari”, in ossequio al principio generale che “ad acquistare (la) cittadinanza deve aver concorso la volontà individuale (…)>> .

Esperson P. Secondo Esperson, in Italia <<è esclusa la naturalizzazione tacita>>, dato che <<libera (…) deve essere la rinuncia alla cittadinanza>> .

Contuzzi F.P. Dal canto suo, Contuzzi, sempre in relazione alla portata dell'atto di naturalizzazione, asserisce:<<l'individuo non può essere dichiarato cittadino di uno Stato contro la sua volontà>> .

1.c. Contestazione della “grande naturalizzazione” da parte della giurisprudenza

Anche la giurisprudenza di allora, sia di legittimità che di merito, si è pronunciata contro la tesi della “grande naturalizzazione brasiliana”.

Interpretando l’art. 11, c. 2, cod. civ. 1865, la Corte di Cassazione di Napoli, alla udienza del 5 ottobre 1907, statuendo proprio in materia della Costituzione del Brasile sulla grande naturalizzazione, confermando la sentenza della Corte di Appello di Potenza, che aveva deciso che un tale Di Nubila non aveva perduto la cittadinanza, stabilisce che: <<La nostra legge suppone che il cittadino abbia con un ATTO POSITIVO ESPRESSO LA VOLONTÀ DI CONSEGUIRE LA CITTADINANZA STRANIERA e che l'abbia ottenuta. L'ottenere, anche filologicamente, PRESUPPONE UN DOMANDARE (art. 11 n. 2 cod. civ.)>>. (Cfr. sentenza Corte di Cassazione di Napoli, 5 ottobre 1907, doc. B).

Sulla stessa linea anche la Corte di Appello di Casale del 15 aprile 1902: <<Non perde la cittadinanza italiana e non acquista la straniera il figlio naturale di cittadino italiano residente all'estero, per il solo fatto che lo Stato estero attribuisca la propria nazionalità a chi sia nato nel suo territorio, sebbene da straniero e vi abbia domicilio>> (Cfr. App. Casale, 15 aprile 1902, in Stat. Civ. It., 1902, p. 260, doc. C).

1.d. Ulteriori considerazioni sulla “grande naturalizzazione”

A ciò si aggiungano le seguenti considerazioni.

Un diritto che venga ottenuto a prescindere da una domanda non fa parte del nostro sistema giuridico. Tale concezione, semmai sia esistita, rimanda piuttosto a sistemi lontani e riecheggia il (forse) leggendario “todos caballeros” di Carlo V, di manzoniana memoria.

Gli stranieri allora residenti in Brasile erano in gran parte braccianti agricoli e neppure lontanamente vennero a conoscenza che erano diventati cittadini brasiliani e avevano quindi perduto la cittadinanza italiana.

Neanche le autorità consolari italiane dell'epoca presero conoscenza di tale provvedimento, come prova il ritorno di migliaia di italiani muniti di passaporto italiano in patria, anche quelli che stavano in Brasile prima del 1889.

La tesi dell'Avvocatura sull’interpretazione del combinato disposto dell’art. 6 del codice civile 1865 e della legge 555 del 1912, secondo cui coloro che sono nati in Brasile prima del 1° luglio 1912, data di entrata in vigore della L. 555, non potevano avere la doppia cittadinanza e perdevano conseguentemente quella italiana, è errata e mai sostenuta prima di ora.

Migliaia di trascrizioni all'anagrafe di cittadini italiani nati prima del 1912 in Brasile, Argentina, Stati Uniti eccetera, paesi dove vigeva lo ius soli, sono avvenute senza alcuna obiezione da parte dello stato civile italiano o dell'amministrazione italiana.

La trascrizione della cittadinanza allo stato civile è stata sempre conseguente alla attribuzione della cittadinanza e mai è avvenuto il contrario.

Molti italiani nati in Brasile prima del 1912 hanno soggiornato in Italia, hanno combattuto nell'esercito italiano, si sono sposati, hanno avuto figli italiani ne sono morti italiani.

Infine, in una pubblicazione del 2003 dello stesso Ministero dell’Interno resistente, intitolata “La cittadinanza italiana: la normativa, le procedure, le circolari”, alla pagina 16 si legge: <<Si rileva a tal proposito che tra le normative succedutesi negli ultimi 90 anni non si rinvengono soluzioni di continuità nell’istituto dell’attribuzione della cittadinanza a titolo originario, e quindi sin dal 1912, ma anche anteriormente con il Codice Civile del 1865, può ritenersi italiano il discendente di cittadino seppur nato all’estero ed ivi sempre residente>>.

Concludendo sull’argomento della legge della grande naturalizzazione, va detto che vi sono molte ragioni di opportunità a favore del fatto che un provvedimento così importante, come quello di concessione della cittadinanza, debba essere richiesto o quanto meno accettato dalle persone, e ciò per le implicazioni politiche, sociali, economiche, culturali eccetera che esso ha sulla persone stesse. E che vi sono molti motivi che inducono i cittadini italiani a mantenere la propria cittadinanza; ed è per questo che occorre dare loro la possibilità di scegliere, con un atto positivo, se mantenerla o perderla.

In buona sostanza, sinceramente non si comprende il motivo dell'opposizione delle amministrazioni italiane resistenti al riconoscimento della cittadinanza italiana di persone che discendono da italiani immigrati in terra straniera moltissimi anni orsono e che, nelle varie generazioni che si sono succedute, hanno sempre mantenuto un affettuoso contatto con la patria di origine, come è testimoniato, tra l’altro, dal presente ricorso.

Uno Stato dovrebbe essere orgoglioso di una tale cosa, perché gli dà lustro, invece di umiliare le attese di coloro che si sentono e sono cittadini italiani.

Molte sono le vestigia italiane in terra di Brasile. Tra le tante, al momento ci viene in mente l’Edificio Italia, il più alto grattacielo di San Paolo, costruito tra il 1956 e il 1965 nel centro della megalopoli brasiliana su iniziativa della comunità italiana locale e che ospita il Circolo italiano e il Terrazzo Italia.

Come si legge nella pubblicazione “Momento Italia-Brasile 2011-2012” – del Ministero degli Affari Esteri, consultabile sul sito www.esteri.it>mae>pubblicazioni>allegati>20120913 mib book: <<In Brasile è presente la comunità di origine italiana numericamente più grande del mondo: 25/30 milioni di discendenti. La rete istituzionale dispone di quasi 140 terminali distribuiti in 25 dei 27 Stati, a cui si aggiungono 461 Associazioni, circa 80 feste popolari italo-brasiliane, 716 fabbriche e filiali produttive di imprese italiane, 279 docenti di italiano. Nessun altro Paese può disporre in Brasile di una presenza così importante e differenziata.>>

Perché mortificare questa nostra comunità?

Avv. Stefano Nitoglia

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