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Lavoro: una discutile ordinanza sugli atti discriminatori


Con ordinanza in data 21 giugno 2016 il giudice del lavoro del Tribunale di Rovereto ha condannato l’Istituto delle Figlie del Sacro Cuore di Gesù al pagamento, in favore della signora Federica Moretti, nonché di due associazioni sindacali di categoria (Associazione Radicale Ceri Diritti e CGIL del Trentino), della somma di € 25.000,00 in favore della docente e di € 1.500,00 ciascuno in favore delle associazioni sindacali per danni di natura patrimoniale e non patrimoniale conseguenti ad atti di natura discriminatoria tanto individuale che collettiva posti in essere dal detto istituto nei confronti della docente.

Il contratto di docenza a tempo determinato della Moretti era scaduto il 30 giugno 2014 e non era stato rinnovato dalla scuola paritaria di ispirazione religiosa cattolica, come era invece accaduto negli anni precedenti.

Assumevano i ricorrenti che ciò era accaduto a causa della tendenza omosessuale della docente, che aveva una relazione di convivenza affettiva con un’altra donna e che per questo era stata convocata dalla superiora dell’Istituto un paio di settimane dopo la scadenza del contratto, la quale le avrebbe fatto balenare la possibilità di un rinnovo del contratto qualora la Moretti avesse negato l’esistenza della relazione affettiva.

Il giudice del lavoro, sulla base di una istruttoria essenziale costituita dall’interrogatorio libero delle parti e da alcuni giornali locali depositati dai ricorrenti, che parlavano della vicenda, ha ritenuto la natura discriminatoria della condotta dell’Istituto religioso, condannando lo stesso al pagamento, in favore della docente, della somma di euro 10.000 per danni patrimoniali costituiti dalla perdita di chance di assunzione a tempo determinato per i successivi anni scolastici, nonché al pagamento della somma di euro 15.000 per danni non patrimoniali, “tenuto conto della ampia risonanza mediatica della vicenda, dell’ostinata reiterazione delle affermazioni offensive e dell’assenza di qualsivoglia forma di resipiscenza”; nonché al pagamento in favore delle associazioni sindacali ricorrenti come sopra detto “dal momento che la condotta posta in essere dall’istituto attraverso la sua legale rappresentante (…) ha colpito non solo la ricorrente, ma anche ogni lavoratore potenzialmente interessato all’assunzione presso l’istituto”.

Va sottolineato che il giudice non ha accolto la tesi dell’istituto scolastico secondo la quale doveva applicarsi la clausola di salvaguardia prevista dai commi da 3 a 6 dell’articolo 3 del D.Lvo 216/03 per le organizzazioni di tendenza “dal momento che – sostiene il giudice – nel caso qui in esame è stata perpetrata una discriminazione per orientamento sessuale e non per motivi religiosi”. La tesi del giudice appare però infondata: il comma 3 del citato articolo 3 Dlgs 216/2003 testualmente recita: “Nel rispetto dei principi di proporzionalità e ragionevolezza e purché la finalità sia legittima, nell’ambito del rapporto di lavoro o dell’esercizio dell’attività di impresa, non costituiscono atti di discriminazione ai sensi dell’articolo 2 quelle differenze di trattamento dovute a caratteristiche connesse alla religione, alle convinzioni personali, all’handicap, all’età o all’orientamento sessuale di una persona, qualora, per la natura dell’attività lavorativa o per il contesto in cui essa viene espletata, si tratti di caratteristiche che costituiscono un requisito essenziale e determinante ai fini dello svolgimento dell’attività medesima.”

Il giudice non ha ritenuto operanti le limitazioni ed eccezioni al principio generale previste dal detto comma 3, limitandosi a richiamare di esso la sola frase “nel rispetto dei principi di proporzionalità di ragionevolezza e purché la finalità sia legittima”, implicitamente ed irragionevolmente escludendo la vicenda “de qua” dall’ambito del rapporto di lavoro, in esso comma considerato, ma solo quelle previste dal comma 5, che escludono dall’ambito degli atti di discriminazione “ le differenze di trattamento basate sulla professione di una determinata religione o di determinate convinzioni personali che siano praticate nell’ambito di enti religiosi o altre organizzazioni pubbliche o private, qualora tale religione o tali convinzioni personali, la natura delle attività professionali svolte da detti enti o organizzazioni per il contesto in cui esse sono espletate, costituiscano requisito essenziale, legittimo e giustificato ai fini dello svolgimento delle medesime attività”.

Le limitazioni ed eccezioni previste dal citato comma 5 non sono operanti, secondo il giudice, “atteso che l’orientamento sessuale di un’insegnante (…) è certamente estraneo alla tendenza ideologica dell’istituto”.

Insomma, il giudice ha infondatamente compreso la fattispecie “de qua” nell’ambito degli enti religiosi o di altre organizzazioni pubbliche o private, di cui al citato comma 5, e non in quello del rapporto di lavoro, come appare invece giusto ritenere.

Peraltro, il giudice non ha per nulla considerate le più ampie limitazioni ed eccezioni contemplate dal comma 6 del detto Dlgs 216/2003, il quale testualmente recita: “Non costituiscono, comunque, atti di discriminazione ai sensi dell’articolo 2 quelle differenze di trattamento che, pur risultando indirettamente discriminatorie, siano giustificate oggettivamente da finalità legittime perseguite attraverso mezzi appropriati e necessari (…)”.

Scontata, infine, la solita citazione della giurisprudenza comunitaria, secondo la quale “per le organizzazioni di tendenza i margini di manovra sono piuttosto limitati, come riconosciuto, ad es., dalla sentenza 23 settembre 2010, proc. 1620/03 della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo che ha considerato illegittimo il licenziamento operato da una parrocchia della Chiesa cattolica di Essen (Germania) nei confronti del proprio organista dopo che questi aveva divorziato e aveva avuto un figlio da un’altra relazione”.

Tale tesi appare piuttosto preoccupante perché costituisce una illegittima e pericolosa limitazione della libertà di azione delle scuole di indirizzo cattolico. ( articolo di Stefano Nitoglia, tratto dal sito www.centrostudilivatino.it, 27 giugno 2016)

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